La pietra nella buca del pastore.

Gli alti calanchi costeggiano la strada di breccia, quella che dal paese porta ai torrioni alti inerpicandosi tra quegli impervi e poi ridiscende giu' fino al Poggio dove da bambino giocava tra i sacchi del mugnaio. Il tramonto di questo Aprile maledetto scolora i sassi del fiume che scende recando con se' ancora le tracce di un inverno inclemente.

Gelo e neve avevano abitato i pascoli alti fino a pochi giorni fa e le sue acque grigionuvola ora fluivano rapide e disattente sorvolando su tutto in cerca di un'ansa nella quale riposare. Le sentiva in lontananza chiacchierare nell'oscurita' con gli alberi del bassopiano, o brontolare nervose quando sbattevano contro i resti di un gibbone franato nel loro letto. Acque senza pieta' che non gradivano l'intruso, che lo smantellavano poco a poco sgretolandone l'argillosa ossatura per poi limacciose trasportarlo verso un mare solo immaginato. Solo alcuni massi resistevano alle correnti... erano stati forse messi la' millenni prima, quando i giganti abitavano quelle inquiete colline lunari preparando un futuro alla razza degli uomini piccoli, come lui chiamava la specie. Li conosceva uno ad uno, sapeva sotto quale di loro i mulinelli d'acqua avevano scavato camere spaziose nelle quali fiocinare un grosso cavedano in cerca di un'isola di quiete in quel turbinare violento e giocoso. Il piu' grosso era quello che come lama di coltello tagliava a meta' la buca del Pastore, una profonda fossa dove a primavera le acque dimenticavano tronchi divelti e radici inestricabili creando giochi di tensione tra le velocita' delle rapide e la calma apparente di quei labirinti arborei. Il monumentale dolmen naturale stava la', partendo dalla riva opposta al paese e sbilanciandosi in apparente squilibrio fino al centro di quell'energia liquida. I vecchi raccontavano che riusciva a reggersi perche' era conficcato nella terra fino al centro del mondo ed il giorno in cui si fosse lasciato cadere avrebbe significato che gli inferni stavano per risalire in superficie scardinando l'entrata per il nostro cielo e vomitando demoni. Grazie a Dio era sempre restato la' dove i giganti lo avevano messo, sigillo del peggiore dei mali e sfida all'incapacita' degli uomini piccoli. Ora cercava di immaginarlo con gli occhi dell'adulto, figurandosi quell'enorme lingua di pietra conficcata come una spada nel cuore delle nostre paure, ne soppesava idealmente il peso e la consistenza, e nonostante lo scettico realismo dell'eta' sentiva ancora un brivido scivolare tra la peluria della schiena all'idea che le leggende dell'infanzia fossero vere anche solo a meta'. Quella sera poi gonfiava le emozioni, amplificandole fino a proiettarle nel profondo blu carico notturno silenzioso come una morte. Una folta schiera di stelle ed una luna benevola rischiaravano quello che dalla sua postazione riusciva a vedere, poche cose e tutte apparentemente uguali, calanchi e calanchi. Tutto il resto era solo intuizione, percepibile da suoni e odori. Ma la Pietra della buca del Pastore, quella no. Quella non aveva mai emesso suono, mai... eppure quella sera senti' scricchiolare due volte qualcosa con un rumore di neve calpestata, un suono insolito che una sua esperienza ancestrale ricondusse al Dolmen. Quando un brivido venne a scuotere il suo vegliare, stappo' la fiaschetta da tasca per sorseggiare una grappa di vinaccia. *Fa' un freddo cane stasera... tieni, bevine un sorso poi fatti una dormita. Mi darai il cambio tra un paio d'ore.* Porse la grappa a Tonio, un robusto bracciante del Poggio che con lui divideva la postazione, compagno di mille battute al cinghiale ed infallibile tiratore. Scorbutico, brutto come la fame, dotato di una forza davvero eccezionale: mesi dopo si ricorderanno di lui enfatizzandone le gesta, ricordando come fosse capace di trascinare da solo e a mani nude l'aratro del Picchio, quello che di solito veniva tirato da quattro buoi giovani tanto era pesante. Si dira' che uccise una troia inferocita con un fendente preciso in mezzo agli occhi dopo che la fucilata in testa non ne aveva causato la morte giu' al macello, e che quella bestia prima di imbattersi in Tonio aveva gia' staccato con un morso la gamba al suo boia. Oggi Tonio e' un soldato semplice dell'esercito degli indifferenti. Uno di quelli con cui non riuscirai mai a litigare, uno che *se c'e' bisogno chiamami, sanza problem...* *La postazione e' quella giusta, domani mattina passeranno di qua. Cosi' e' stato detto al comando, almeno.* *Il problema e' sapere se sara' all'alba o con il sole alto... con poca luce avremo un bel vantaggio, loro sulla strada bianca e noi quassu'...*, rispose Tonio, che stava gia' avvoltolandosi nel bavero della giacca per simulare un tepore di focolare domestico che non conobbe mai. *Mi raccomando, svegliami tra due ore che ti do' il cambio, sai che ho il sonno peso e se non mi darai la voce dormiro' fino a domani sera...* disse sorridendo. *Tranquillo, se non ti sveglio io ci pensera' lui* rispose mostrando il moschetto. Si erano gia' dati il cambio un paio di volte, saranno state le quattro del mattino. Tonio era di nuovo la', arrotolato su se' stesso a sognare paesi caldi dove tutti sorridono e dove il mare getta sulla spiaggia mollluschi e pesce che puoi mangiare se ti va, dove sarebbe andato in un'altra vita, se fosse tornato a nascere... Osservava l'impugnatura del moschetto, che come caleidoscopio rimandava riflessi brevi e opalescenti con cui ingannare il tempo. Guardava Tonio riposare, e guardandolo gli occhi dell'animo intravidero un vulcano assopito spaventato dalla sua stessa potenza incandescente. Poi il suo pensiero fuggi' abbracciato ai suoi occhi verso le stelle del cielo, verso la sua Anna. Anna che gli voleva bene, Anna che ogni sera preparava la cena con l'entusiasmo di una ragazzina, lei che ragazzina non era piu' nel corpo che, seppur non avesse mai figliato, recava i segni del lavoro e della fatica. Si erano conosciuti trent'anni prima, lui diciassette lei sedici anni, spesi tra il sudore dei campi ed i racconti intorno al fuoco con i vecchi del paese. Anni di fate e maghi, anni di amori ed inquietudini dell'eta', anni della prima volta, anni in cui ogni sera andavi sulla cima del Dolmen della buca del Pastore per sfidare l'Inferno, sere in cui pero' andandotene di la' accelleravi il passo senza voltarti indietro, vergognandoti della tua stessa paura. Poi vennero i tempi bui, quelli di quella stupida inferocita rabbia che doveva necessariamente esplodere con il fragore assordante del tuono, quella dove il bagliore di lampi d'odio rischiarava attimi senza inizio e senza fine, quei tempi in cui il bianco uccide il nero, la notte da' la caccia al giorno ed i figli uccidono i padri. Venne la Guerra. Non mondiale, ma con la G maiuscola e che si pronunciava con tre erre, quasi a sottolinearne la ferocia. E la guerra si porto' via anche Anna, che serro' i denti per non gridare nel giorno in cui venne uccisa con un colpo secco alla testa da un ragazzo di appena vent'anni, sergente di un branco di quattro lupi diseredati che terminarono con la morte il rito di uno stupro consumato per odio e ritorsione. Lui quel giorno non c'era, quel giorno stava liberando la strada dalle macerie di un autoblindo che era stato fatto saltare da una granata ed impedivano alle camionette di portare viveri a quelli del Poggio, isolati dal freddo e dalla neve di quell'inverno gelido. Non c'era... quando rincaso', la sera, trovo' sul suo sentiero proprio Tonio, occhi lucidi che senza dire parola lo indussero a correre disperato cercando Anna, finche' otto braccia lo afferrarono per non permettergli di vedere. Scardino' quattro paesani con la forza del terrore, sali' i gradini che conducevano alla camera da letto e la vide. Oh, si', la vide ancora bella: la morte non aveva spento quei lineamenti innocenti di signora ragazzina su di un volto che non aveva piu' il cranio, divelto dalla pallottola definitiva, quella pallottola che quel giorno uccise anche lui. Non pianse. Resto' a guardarla, carezzandole le mani per cercare di trattenere in se' quell'ultima disperata immagine di lei, cercando di sostituire quel povero viso deturpato con quello suo vero, quello che sprigionava vita e forza per un uomo oramai vecchio che riusciva ancora a scalare il Dolmen ogni sera. Ed anche quella sera lo fece, urlando contro il cielo un unico, disperato perche' senza fine, battendo i pugni sulla roccia fino a farli sanguinare cercando il coraggio per non morire. L'Inferno quella sera sprofondo' un po' piu' giu', rispettoso di quel dolore infinito. Meditare vendetta durante una guerra puo' sembrare cosa normale, ma straordinario fu il sentimento che pervase da quel giorno tutti gli abitanti del paese, determinati a punire con la morte quel piccolo distaccamento del regime che decise di simulare amore con l'odio nel cuore. Il Comando di Resistenza voto' una risoluzione in cui si stabiliva che si doveva fare, bisognava in qualche modo rendere giustizia ad Anna, bisognava restituire dignita' al cielo. Si arrivo' persino a sperare che quei quattro non morissero durante uno dei tanti combattimenti che scoppiavano un po' ovunque, si spero' che continuassero a viaggiare sulla stessa camionetta ogni giorno, depositari *dell'ordine* delle truppe avverse asseragliate lassu'. Da tre giorni non si sentiva piu' bombardare, *Pippo* non passava da tre giorni con il suo carico di morte che puntualmente scaricava su ogni luce accesa, su ogni testimonianza di vita. Da una settimana non si sparava, tra quei monti. La Resistenza sospese ogni incursione ed ogni imboscata per allentare la tensione, quasi un lutto morale ed un'astensione alla guerra nel rispetto di chi non c'era piu'. Adesso tutto era pronto: quella mattina, come ogni altra mattina, il convoglio di quattro camionette sarebbe transitato sulla strada per il Poggio a pattugliare l'unica via certa di comunicazione e di approvvigionamento, venti uomini in tutto armati fino ai denti a garantire l'accesso ai paesi alle forze di sostegno per il fronte, situato venti chilometri piu' in la'. Avevano sbarrato la strada all'altezza del Dolmen, di fronte alla postazione dove lui e Tonio stavano acquattati nell'oscurita' aspettando l'alba. Accese una sigaretta e con la fiamma dell'accendino a kerosene guardo' l'orologio: le cinque e venti, un freddo cane ed una foschia lieve che cominciava a sollevarsi dalle pendici dei calanchi. Il Dolmen scricchiolo' ancora, un lento mormorio che sembrava provenire dalla notte dei tempi, quasi l'eco del ruggito di un dinosauro impazzito. Cerco' di calmarsi, perche' il ripetersi di quel brusio lo aveva fatto trasalire, al punto che si rese conto di avere serrato il moschetto tra le mani come fossero una morsa, mani nodose e tese che di li' a poco avrebbero chiuso le estremita' del suo cerchio vitale, forzandole come il maglio forgia l'acciaio rosso ciliegia per fare le centine dei carri da fieno. Era ancora bambino quando il nonno lo portava alla bottega del fabbro che estraeva dal forno quei pani ardenti per domarli con colpi esperti. Li osservava contorcersi eruttando scintille e scorie per poi cedere alla decisione dell'uomo, acquisendo forme consumate dall'esperienza. Lo impressionava il calore radiante che percepiva solo in viso, come quando dopo una battaglia di palle di neve ti siedi di fronte alla crepitante fiamma di un ceppo nel camino, nudo coperto da un vecchio panno che profuma ancora del gelo dell'anno prima. Spense la sigaretta richiamato al presente dal proprio tossire secco e per ingannare il tempo verifico' lo stato dell'arma, delle cartucce, si alzo' un momento per aggiustarsi la camicia nei calzoni e riabbottonare il giaccone, poi sveglio' Tonio con la delicatezza di una madre che accarezza la testolina del figlio neonato. Mentre compiva quel gesto, penso' che l'amico rischiava la pelle a causa sua, che forse non avrebbe dovuto trascinare la Resistenza in questa sua vendetta personale, che forse sarebbe stato meglio tornare indietro, avvisare quelli delle altre postazioni che non si doveva, non si poteva fare. Rivide ancora il volto di Anna, il suo corpo con i vestiti strappati, ingoio' un dolore amaro che era salito dallo stomaco e si aggrappo' all'alba che stava per spuntare per non morire, non ancora. *Tonio, svegliati... e' quasi ora.* *Mmmh, che ore sono? Ancora cinque minuti...* *Daidaidai... svegliati...* ripete' sorridendo. Le sette e quaranta. Quattro postazioni, tutte da questo lato della strada, al di la' il fiume ed il gibbone del Dolmen che riposa come un capodoglio nell'Oceano dell'umanita'. Occhi che si cercano, strizzandosi un attimo per confortare l'altro che tutto andra' bene. Quattro postazioni per tredici anime determinate, due nella buca di Tonio, tre in quella immediatamente a sinistra, otto metri piu' in la'; sei persone nella buca piu' bassa, pronte ad una incursione definitiva corpo a corpo, due ancora nella buca di sopra, dalla quale si vede meglio il primo tratto di strada per poi avvisare gli altri con un fischio d'uccello. Dieci moschetti ed un paio di Brent, pistole una ciascuno anche perche' in caso di fuga puo' convenire lasciare fardelli ingombranti sul posto per correre piu' leggeri senza restare disarmati. Ma non sarebbero fuggiti, lo sapevano gia'. In ogni caso sarebbe stata una carneficina, ancora come sempre il bianco contro il nero, senza ricordare che l'arcobaleno e' fatto di colori. Dalla postazione alta si sente un goffo fischio a meta' tra il merlo ed un gatto in amore, il Fornaio nella buca di sotto si fa' un segno della croce rapido mentre Marcello stringe tra le labbra il ciondolo che porta appeso al collo, un cuoricino di quercia con su incise le iniziali della ragazza . I moschetti sono gia' armati ed il rombo di quei motori si fa' reale, senti i loro pistoni bestemmiare al ritmo del cuore. Mario, quello che ha fischiato, corre verso la buca di Tonio coperto dalla schiena del calanco, con la faccia disperata di chi ha perso tutto al gioco. *Cazzo, cazzo... sono nove, almeno nove camionette... porca puttana, e adesso?* *Molliamo tutto, lasciamo perdere* e l'immagine di Anna gia' sfuma nella mente convulsa. *No. Io resto, ed andro' fino in fondo, cazzo, cosi' farai anche tu se no diobono ti sparo in culo io, chiaro?* disse Tonio, determinato e con gli occhi del lupo. Anna e' di nuovo tra loro. Mario scivola lentamente verso le altre buche per spiegare la situazione agli altri: c'e' pochissimo tempo, un minuto al massimo per decidere se restare con i due pazzi della buca di Tonio o tornare in paese facendo il giro alto. Quando le camionette passano, una raffica di brent fa scintillare la ghiaia della strada e le lamiere, lacrime di sangue piovono dal petto di un autista che non fa neppure in tempo a pregare un qualsiasi dio di un qualsiasi cielo mentre i soldati scendono e si appostano. Nelle buche ci sono ancora tredici anime, nessuno ha lasciato. Sulla strada almeno sei corpi hanno smarrito la vita dentro qualche bossolo macchiato di rosso, altri stanno rannicchiati dietro le camionette bestemmiando in una lingua odiata e mai capita. Io l'ho visto alzarsi per primo, uscire dalla buca di Tonio e correre come un pazzo con gli occhi lucidi verso la strada, sembrava un lampo nella scoscesa del calanco, sembrava volare come un aquilone dal filo reciso verso un orizzonte lontano, cercava Anna quando ad un certo punto un immenso fragore ammutoli' l'universo, che si appese al sole senza fiatare. Quando cadde dilaniato dalle pallottole un boato crescente simile ad una mandria di cavalli imbizzarriti squarcio' le nuvole, dalla buca del Pastore un'onda invase la strada, io capii che le porte dell'Inferno erano state aperte e atterrito sparai all'impazzata, uscimmo dalle buche e fu rumore e fuoco. Io lo so, perche' me lo ricordo: quando cadde il Dolmen e si spalancarono le bocche della terra i demoni si nascosero, perche' l'Inferno vero, quello dove si muore, si rivelo' nei nostri cuori, che non poterono mai piu' dimenticare. Ora ai miei nipoti racconto la storia di Tonio e della sua forza, racconto dell'amore e di Anna che ogni tanto sale sulla cima del calanco piu' alto cercando l'amato e loro mi guardano oramai vecchio con gli occhi di chi ascolta una favola. Non ho mai raccontato della Pietra nella buca del Pastore ne' di come crollo' quel giorno, neppure dei demoni che lasciarono la loro vita sulla ghiaia della strada che va al Poggio, perche' le parole in questa nostra vita muoiono piu' in fretta del pianto.