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La fine del tempo.

Erano i giorni della fine del tempo. La frenesia della gente era totale, alcuni vagolavano per le strade disperati piangendo i loro rimorsi e gridando al vento nomi dimenticati quasi ad esorcizzare e rivivere certe occasioni mancate. Altri ordinatamente accumulavano dentro a valigie mai usate ricordi e cianfrusaglie, come per prepararsi a salire su treni che sarebbero partiti comunque senza la loro presenza....un frugare nel passato per dirsi "io c'ero", o quantomeno "io ci sono stato..." .

La maggior parte dei bottegai del paese avevano gia' chiuso definitivamente i negozi, serrandone le entrate con patetici catenacci che nessuno avrebbe di li' a poco mai piu' potuto forzare; i pochi che ancora non avevano abbandonato restavano malinconici sull'uscio ad osservare la tensione e la disperazione dei passanti. Le fabbriche avevano chiuso quasi tutte nell'ultimo mese, perche' oramai a nessuno sarebbe venuto in mente di buttare le ultime preziose ore di vita servendo per poche lire un padrone, od inseguire il sogno di riuscire a pagare il mutuo di una casa che non sarebbe mai stata costruita. C'era stato un aumento incredibile di stupri, rapine, violenze.... la certezza di non avere piu' nulla da perdere aveva scatenato in molti la voglia irrefrenabile di dare sfogo alle voglie represse, di prendersi cio' che non gli era mai spettato , di illudersi vivi palesando quel senso di potere che da' la prevaricazione... Erano aumentati anche gi omicidi...forse vendette desiderate, forse volonta' di provare sensazioni inconfessabili, forse solo infinita disperazione...sicuramente la tranquillita' di non avere piu' tempo sufficiente per pagare poi delle proprie azioni. Coppie di coniugi ritenute solide e perfette si disgregavano, rifiutando rabbiosi la forzatura di dovere apparire tali per difendere con i denti un piccolo spazio vitale in una societa' che oramai non aveva piu' futuro.... L'aria ovunque era pesante...c'era odore di meschinita', di sperma riversato senza ritegno, di alcoolici tracannati per esaltare o dimenticare, di fuochi e di tristezza e vuoto infiniti. Nessuno accendeva piu' la televisione, cio' che sognavano incollati ad una poltrona ora cercavano di viverlo con le lacrime agli occhi. Solo ogni tanto qualcuno gironzolava tra i canali per conoscere con piu' precisione quando sarebbe successo.... Tutto sommato, il mondo intero sembrava in preda, piu' che ad una cupa disperazione, ad una grande voglia di liberta', all'esplosione dell'odio verso le regole, le repressioni, le finzioni ipocrite di uso quotidiano. Ermete non aveva la tivu', non possedeva un negozio, non aveva voglie represse da soddisfare. Lavorava, se cosi' si puo' dire, per passione: in realta' lui con il lavoro giocava. Aveva vissuto trent'anni giocando, negli anni della fanciullezza lo faceva per puro divertimento, senza pensare, per il solo gusto di farlo; divenuto un uomo aveva continuato, solo con piu' serieta', misurando ogni volta il limite del suo spingersi oltre nel rispetto degli altri, delle loro regole, della loro liberta', anche se ora questa parola aveva assunto ai suoi orecchi un tono grottesco. Si poneva sempre troppe domande, voleva assolutamente capire il perche' delle cose, non credeva nella casualita' senza causale, accettava al limite anche il fato ed il destino, ma doveva prima sentire dentro di lui la certezza della causa madre, della prima scintilla. Giocava ed imparava, incessantemente. Credeva nell' intuizione ma non ne lasciava mai isolata l'essenza, la proiettava in un cielo piu' spazioso e sereno per vederla nuda e spogliata di desideri e archetipi per poi riportarla nel suo quotidiano e viverla per come si fosse rivelata. Un matto, forse.... Del resto il matto e' colui che si costruisce un mondo su misura dopo avere invano tentato di adattarsi al reale, di accettare lo stato delle cose e di allinearsi con esse. Forse ora avrebbe dovuto uscire in strada, abbandonarsi ad animalita' disperate ed impotenti, sentirsi "libero"... Il pensiero gli sembrava anacronistico poiche' aveva cercato di vivere libero da sempre: libero di pensare, di esprimere, sentire, camminare, sognare, giocare. Non si era mai forzato in nulla, mai aveva sentito il peso di una costrizione e quando aveva accettato situazioni non coerenti con la sua persona lo aveva fatto nella piu' assoluta coscienza e responsabilita'. Ora il cercare di cambiare logica gli appariva come una schiavitu', come una involuzione verso cio' che puo' essere facile, immediato, falsamente reale. Ora come non mai, visto che si avvicinava la fine, doveva e voleva conservarsi per mantenere quella dignita' consapevole che aveva sempre segnato l'incedere della sua esistenza passata. Lasciarsi traviare ed abbandonarsi al piacere facile sarebbe stato la negazione della sua liberta' piu' vera, un rinnegare se' stessi all'altare della tristezza. Per questo Ermete continuava nel suo cammino: lo faceva senza alterazioni, senza entusiasmi isterici, senza tentennamenti. Ogni mattina si alzava come consuetudine alle cinque per vedere l'alba, osservare quel sole e quella Luna in antitesi fare l'amore in eterno, sentire il mutare della brezza mattutina ed osservare l'incommensurabile perfezione dell'alternanza Universale. La bellezza. Il valore semplice e supremo della bellezza che e' insito in tutte le cose che rispondono ai requisiti della verita', esenti da contraddizione. Aveva intuito da sempre che tutto cio' che e' vero e' bello. Aveva trovato immagini e colori e suoni meravigliosi in tutto cio' che lo circondava, anche nelle cose che potevano apparire al senso della vista come detestabili ed orribili. Sentiva che la bellezza era insita nella diversita'. La bellezza della notte non avrebbe un senso senza la certezza del giorno, e viceversa. Il segreto sta nella tensione generatrice degli opposti, nell'infinito salire e scendere delle cose, nell'ancestrale ciclicita' delle stagioni, nell'attrazione del positivo e del negativo, del maschile e del femminile. Ed il tempo della fine del tempo che stava vivendo recava in se' sensazioni di meraviglia, di estrema bellezza, di superba dignita' e purezza. Non temeva la morte. Sapeva che si muore tante volte, l'ultima volta era successo quando usci' dal caldo ventre di sua madre. Il suo essere cambio' allora stato di forma , venne proiettato in una dimensione nuova, diversa da quell'Universo nel quale per nove mesi aveva vissuto. E sa, perche' gli venne poi in seguito riferito, che quando si affaccio' alla finestra di questo quotidiano per la prima volta, pianse disperato. Un ambiente nuovo, senza liquidi, dove altri esseri parlavano un linguaggio che avrebbe poi dovuto imparare, si muovevano camminando, lottavano con altri esseri simili a loro per ricavarne spazio e potere. Non aveva mai capito quale dei due mondi fosse il migliore, nella differenza stava la loro bellezza . La cosiddetta "morte" non lo preoccupava, poiche' la sua curiosita' e liberta' lo spingevano a non rifiutare il nuovo. Aveva vissuto questo stato attuale come avrebbe voluto, almeno sul piano spirituale. Questo gli bastava. Prima nuotava in un involucro liquido e caldo, ora camminava e sentiva solo nel sogno di potere volare, forse un giorno avrebbe semplicemente volato... Intravedeva ed intuiva senza certezza assoluta una linea sottile di progresso nel valutare le tappe di crescita del suo essere, leggeva negli impedimenti fisici della vecchiaia la preparazione dell'anima ad un viaggio sublime svincolato dalle necessita' della prestanza fisica. Tutto questo lo sentiva perche' credeva nella perfezione della Natura, in quel suo incedere sicuro e regale verso l'equilibrio. Non era bello, lo sapeva e ne era contento. Qualcuno o qualcosa aveva deciso di non gravarlo di una responsabilita' in piu', aveva deciso di risparmiargli angosce che a volte assalgono le creature che ripongono nei piaceri che la bellezza fisica puo' regalare il senso della propria vita. Non era neppure forte di salute, tutto sommato. Nel senso che aveva sempre dovuto lottare per raggiungere uno stato di serenita', sempre filtrando i messaggi che la vita ci invia generosa, proiettarli e vederli nella loro semplice verita'. Aveva pero' ricevuto dal tempo un grande dono, la consapevolezza di cio' che era, senza illusioni o miraggi. Questa certezza lo spingeva a tentare in ogni momento a migliorarsi, semplicemente tentando di capire, di non cercare di sembrare, di mostrarsi sempre per come era e di fare un'infinita' di domande. Gia', domande. A tutti, a tutto.... Alle persone: per capire, conoscere, sfiorare il loro sentire... Alla Natura: per penetrare, per esserne parte, per trovare risposte quando le persone arrossivano e si nascondevano. A se' stesso: continuamente, spesso soffrendo nel forzarsi a rispondere anche a cio' che non avrebbe mai voluto sapere, a cio' a cui non avrebbe voluto trovare spiegazione. Questa mattina Ermete esce in strada, come sempre.... Una volta, in tempi migliori, avrebbe fatto una capatina al bar per leggere distrattamente il quotidiano locale, oramai pero' nessuno si preoccupava di conoscere altri fatti, se non torturarsi dentro cercando di conoscere i dettagli di quando esattamente sarebbe successo. Per quanto ne sapeva, un gigantesco meteorite aveva deciso di scegliere la terra come meta del suo infinito peregrinare negli spazi siderali e l'impatto avrebbe causato la fine di tutto cio' che l'uomo aveva realizzato. Tutto qui. Semplicemente lo spegnersi di una candela al passaggio di un alito di vento. Semplicemente un evento quantomai casuale che trova una sua collocazione irrilevante nel gigantesco archivio dello spazio. Per strada incontra gente che un tempo, fino cioe' ad un mese prima, conosceva. O meglio credeva di conoscere, poiche' i volti tesi, nervosi, rassegnati, comunque trasfigurati li rendono ora inconoscibili. Era il loro vero volto? Non era problema che Ermete intendesse porsi. Nel bar e' accesa una televisione, ed uno speaker della CNN , tradotto con enfasi da una voce femminile a meta' tra il serioso ed il comico, sta spiegando la dinamica dell'impatto. Non si era certi della posizione esatta, ambiziosi e presuntuosi tecnici avevano pero' potuto ipotizzare che salvo imprevisti la meteora avrebbe colpito il globo in corrispondenza dell'America centro- meridionale. Sarebbe stato un impatto tremendo, che avrebbe generato terremoti ed inondazioni a causa dello scioglimento repentino dei ghiacciai. L'innalzamento prossimo degli oceani e dei mari aveva gia' provocato esodi biblici di popoli verso terre promesse illusorie, con il desiderio inconscio di attendere solo di morire in un modo diverso. Gia', perche' l'esplosione avrebbe sollevato una infinita nuvola di fulliggine che avrebbe oscurato per anni il sole, eliminando cosi' speranze di vita superstite... Morti, epidemie, esodi, miserie.... Alla notizia dell'impatto , qualcuno nel locale tiro' un lungo sospiro di sollievo, qualcun altro sentendosi fortunato azzardo' un :"Che sfiga, poveretti loro... beh, se non altro non si schiantera' in Europa!".... Una bella soddisfazione. Forse la speranza di sopravvivere qualche giorno in piu', di potere sfuggire ad un qualcosa che comunque sarebbe arrivato, la falsa gioia di morire male domani piuttosto che farlo bene oggi...la rinuncia alla dignita'. Sapeva che coloro i quali ne avevano i mezzi, stavano approntando rifugi disperati nei garage, nelle cantine, ammassando scatolame sufficiente per alcune settimane, scorte di acqua potabile e candele, libri, radioline, materassi, addirittura televisioni. E chiaramente anche coloro che non ne avevano i mezzi facevano quello che potevano: rinforzare finestre e porte contro eventuali sciacalli del dopo cataclisma, scorte incredibili di cibarie, piccole armerie di armi bianche negli sgabuzzini, trincee e scudi di legno, lamiere, chiodi e viti.... Pochi si preoccupavano di cio' che stava accadendo intorno a loro. Se qualcuno crollava in uno stato di apatica disperazione...ebbene, non c'era tempo. Ognun per se', in modo crudele, egoista, una solitudine cieca e per questo ancora piu' profonda ed angosciante. E lo speaker proseguiva nel descrivere l'apocalissi con una professionalita' che dava la sensazione di assistere ad una trasmissione girata su un altro pianeta, la telecronaca di un fatterello a lui estraneo. La nube di vapori, scorie, fuliggine avrebbe impedito la funzione clorofilliana e reso l'aria irrespirabile, le morie immani avrebbero generato epidemie incontrollabili, alterazioni climatiche del dopo impatto sarebbero state tremende in alcune zone del globo, distruggendo interi ecosistemi.... Immagini di popolazioni costiere intente in viaggi disperati ovunque...sulle coste americane, in Europa, in Africa...ovunque. L'occhio crudele delle telecamere sembra quasi divertito dall'altrui disperazione. L'America centrale era pervasa da disperazioni ancora piu' estreme. Quelli che potevano erano gia' fuggiti verso Nord mentre la parte piu' povera, la massa imponente degli abitanti, era semplicemente abbandonata nel caos. Gente che partiva per inutili viaggi a bordo di vecchie scassate e superaffollate automobili che intasavano strade infinite , strade che un tempo vedevano transitare si' e no tre, quattro auto ogni ora, oggi trasformate in inadeguate superstrade da esodo estivo. Eppoi la cronaca dei disordini, riassunta con poche parole per l'impossibilita' e l'inutilita' della loro enumerazione, semplicemente impossibile per vastita'. Suggestive laconiche simulazioni al computer degli eventi prossimi venturi, con buffe e giocose esplosioni simulate, soli che spariscono, macchioline blu che tingono ora il Portogallo, ora le zone costiere del golfo del Messico, a poco a poco una riduzione del cinquanta per cento delle terre emerse. Ermete immagina quanto sia compiaciuto quel tecnico che ha realizzato un cosi' bel servizio, per la ricchezza degli effetti grafici, per il realismo di alcune animazioni....un applauso mentale esplode nella sua testa, mentre l'impulso dominante , cui si abbandona, e' di uscire e non assistere alla telecronaca dell'autoannullamento. Si ritrova percio' in strada, indeciso come sempre se andare verso il fiume o recarsi verso la piccola piazza per scambiare quattro parole con persone che conosce. Getta mentalmente in aria una monetina, e forse barando un pochino si dirige verso il corso d'acqua. La giornata e' calda, da settimane non piove e la polvere per le strade e' secca e leggera, la brezza del mattino gioca con essa e disegna strane allucinazioni che alle volte prendono la forma di un piccolo vortice, alle volte si travestono da onda del mare, rotolando buffamente per poi scomparire in una zona protetta dal vento. Nessuno si accorge di Ermete, cosi' come lui del resto non si preoccupa piu' di guardare in viso chi lo incrocia per strada, oramai tutti li' intorno sono degli sconosciuti, facce mai viste e mai incontrate , intente solo a cercare di non sentire, non vedere, non pensare. Le ultime case di una periferia troppo vicina al centro per poter definire questo agglomerato urbano "cittadina" guardano allontanarsi Ermete, che oramai riesce a distinguere il sottile gorgogliare dell'acqua fra i sassi ed i tronchi divelti da piene antiche. Un sentiero bianco di polvere e sassi, delimitato a destra e sinistra da un fitto roveto carico di more impolverate dentro al quale le api ronzano curiose, conduce al fiume. Ermete come sempre gioca. Prende a calci un ciottolo rotondeggiante che ha incontrato sul suo cammino, lo insegue per pochi metri, un altro calcetto, ancora pochi metri, finche' un colpo un poco piu' maldestro dei precedenti non lo fa' sparire sul lato sinistro del sentiero, inghiottito e digerito dalla siepe fitta. Stacca una mora grossa e succulenta da un ramo, nell'assoluto silenzio del ronzare di mosconi estivi e ne assapora a fondo il nettare, poi inappagato ripete piu' volte il gesto, ritrovandosi cosi' dissetato e sereno. Sa che queste saranno le sensazioni che presto gli mancheranno: conscio di cio', cerca di assaporarle senza la pretesa di farle prigioniere, rispettandone la liberta'. Ora il sentiero abbandona roveti contorti e caldi per immergersi tra alberelli a basso fusto e ciuffi di verde intenso , dove una vita ne' piu' bella ne' piu' brutta, casomai diversa, prosegue spensierata il suo scorrere. Li' vivono fagiani, uccelli colorati, lepri ed insetti dalla breve vita. E' sulle rive, oramai... presto vedra' il volo discendente di qualche effimera , una gialla ephemerella estiva schiusasi anzitempo che gia' dopo un breve istante sta per terminare il suo ciclo vitale. Mistero del relativo vivere. Nascita, crescita, morte... No no no...sbagliato. Mutamento, coscienza, nuovo mutamento. Continuamente. Nella relativita' dei nostri orologi il tempo perde significato: la diversita' temporale della vita di creature diverse da noi puo' farci sembrare crudele cio' che probabilmente e' piu' sublime, piu' profondo e meraviglioso del nostro lento e talvolta duro peregrinare. Ermete e' sul fiume. Lo scorcio finito di Universo e' il solito di sempre, ne conosce ogni dettaglio, lo ha gia' impresso nella mente e nel cuore nel corso di centinaia di momenti simili a questo. Ne ha sollevato gia' almeno una volta tutte le pietre, per scoprire i luoghi dove il portasassi predilige rifugiarsi, le zone umide dove la sanguisuga ama sostare abbarbicata ai ciottoli piu' piccoli e quelle piu' secche dove il ragno della pietra tende i suoi agguati alla ricerca della propria sopravvivenza. Conosce gli alberi sotto la cui corteccia le formiche alate vivono, sa dove le vespe costruiscono i loro alveari, conosce le buche piu' profonde dove le carpe hanno la tana, sa in quali momenti ne escono per grufolare sul fondale in cerca di gamberetti d'acqua dolce, di alghe succulente, di larve di perla.... Conosce i guadi possibili, le zone dove la fanghiglia rende scivolosi i sassi e quelle dove la corrente rende sicuro l'appoggio del piede, sa dove l'acqua punisce l'avventato e quelle dove anche i bambini possono giocare immersi in essa. Supera una piccola macchia intricata di arbusti, si inerpica su un gigantesco macigno al di la' del quale una piccola spiaggia riparata permette il riposo. E' la' che e' diretto, e' la' che si reca spesso per stare solo con se' stesso, immerso in quell'armonia totale. Oggi qualcosa pero' non segue la consuetudine. Giunto sulla cima dell'enorme monolite, che amava scalare da bambino fingendosi un supereroe delle favole, scopre che la spiaggetta e' gia' affollata da un'anima immersa nei propri pensieri. Imbarazzato e dispiaciuto per la sua intrusione, opta per un colpetto di tosse bambinesco e goffo. " Oh?!? "...Risponde nervosa la voce femminile della creatura, come richiamata nel reale, bruscamente. " Scusami...e' che vengo spesso qui, non ti avevo mai vista prima. Non avevo intenzione di disturbare, se non ti spiace passo di qui per andare oltre.... faro' in un minuto." Ermete fissa la ragazza, ed in quella breve frazione di secondo che intercorre tra le sue parole e l'invito di lei a restare li' e scambiare quattro parole la osserva . Sono pochi istanti che durano un'eternita'. Capelli raccolti dietro la nuca di un colore che l'uomo non nota, perso com'e nel lago di quiete di due luci opalescenti che sembrano invocare il silenzio. Seduta accovacciata nella grossolana sabbia della piccola riva, i sandali appoggiati poco lontano per sentire con i piedi nudi il contatto con la terra, mentre la mente si innalza libera verso spazi piu' aperti e piu' soleggiati, la creatura riposa, e pensa. Superato l'imbarazzo e la sospresa, Ermete ridiscende il macigno per raggiungere la spiaggia. In silenzio, senza proferire altre inutili parole di circostanza, toglie le scarpe e siede li' accanto; lo stesso gesto ripetuto tante volte nella piu' completa solitudine ora assume una prospettiva diversa. C'e' qualcosa di magico, di condiviso.... Il silenzio e' totale. I due siedono e guardano di fronte a loro stessi lo scorrere dell'acqua, il chinarsi lieve delle fronde degli alberi al passaggio dell'essenza del mondo, una lieve ventata che anima di vita quell'immobilita' verde ed azzurra. Passano alcune ore cosi', senza nulla dire...non per imbarazzo o timore, quanto per assaporare l'armonia ed il silenzio di quella situazione nuova. L'impressione di non dovere per la prima volta spiegare nulla, giustificare, delimitare con vane parole cio' che e' semplicemente piacevole da vivere. " Quando penso a quello che sta per accadere, riesco solo ad immaginare e soffrire per cio' che sara' di questo fiume." ... E' la ragazza a parlare. Ermete per la prima volta si gira, la guarda a lungo. Gli occhi di lei ora sono velati da una sottile patina umida che potrebbe trasformarsi in lacrima. Osserva i tratti nervosi, i sensi tesi nel cogliere sensazioni che forse domani saranno solo ricordo.... forse domani anche loro lo saranno, quello che non riesce a realizzare e' come poterlo diventare e nella memoria di chi, o cosa ..... Raccoglie un pugno di sabbia, che lascia lentamente defluire come polvere di clessidra dalle mani : "Siamo parte di un equilibrio, tutto questo che vedi e' equilibrio. Non avremo di che soffrirne. Cio' che e' centro di rotazione del tutto resta immutabile anche se agli occhi nostri puo' subire dolorose trasformazioni. Per conto mio, il giorno in cui accadra' saro' qui seduto, vedro' ruotare tutto qui intorno, lascero' che si compia cio' che e' inevitabile e giusto perche' parte integrante del divenire." "Come ti chiami? " Chiede la ragazza. "Ermete... e tu?" "Luna". "E' un nome importante, impegnativo.... chi te lo ha regalato, doveva volerti davvero bene, credo che piu' che un nome , sia un augurio, una speranza." Luna sorride, gli occhi fissi su di un tronco che affiora proprio al centro del vorticoso roteare della corrente: "Me lo regalo' mia madre, volevano chiamarmi Marta, cosi' decisero insieme i miei genitori.... Quando nacqui e mia madre mi avvicino' al seno per la prima volta, aprii gli occhi.... Lei mi guardo', chiamo' mio padre e gli disse che il mio nome avrebbe dovuto essere questo che porto. Cosi' fecero. Non ne so il motivo, cosi' mi sono stati raccontati i fatti, ma mai mi e' stato spiegato il perche'." Ora il velo che dipinge di malinconia lo sguardo della ragazza scivola delicatamente sulle gote, per poi posarsi sulla sabbia e ad essa mescolarsi. Ermete scopre senza meraviglia che lei gli ha preso la mano, istintivamente. Ne ascolta il delicato contatto, sente lo sfiorare delle sue dita contro le sue, ne osserva curioso i contorni, le movenze. Sente il battito del cuore di lei, lo vede attraverso il velo della pelle dei polsi che lascia intuire il fiume delle sue vene, legge nel palmo delle sue mani il passato ed il presente. E quando fu il momento di vedervi il futuro, sorpresa fu lo scoprirlo eterno, non fugace e breve come quello che per il resto del mondo sarebbe stato.... non ne capisce la ragione, ma la vive con l'anima. Il sole sta gia' cercando riposo oltre le betulle per cedere spazio alle stelle della notte, la danza consueta delle alternanze celesti. Ora le schiuse delle effimere che emergono dalle acque turbolente si e' fatta piu' intensa, reale, tangibile. Il vento del giorno e' cessato, rispettoso di quella magica armonia. Il profilo delle due anime accovacciato sulla spiaggetta e' diventato parte integrante del mondo, sembra immobile li' da secoli. Luna si staglia contro il disco dell'astro della notte di cui porta maestosamente e con dignita' il nome , il suo respiro a volte tradisce dolori e paure di un passato troppo vicino per essere considerato tale. Ermete, semplicemente, e' li'. Ascolta il silenzio del fiume, il battito dei due cuori, che sembra provenire di rimando dalle cime che circondano il lontano orizzonte. Semplicemente, vede e sente oltre tutto cio' che sta vivendo. La stretta delle due mani ora e' piu' forte, non si sono mai lasciate da quando ore prima si sono intrecciate. I due hanno parlato pochissimo, ma si conoscono profondamente proprio grazie al dialogo muto e profondo di quel contatto. Questa notte faranno l'amore, a lungo, senza dire parola, semplicemente con gli occhi negli occhi, spazieranno in quel cielo punteggiato d'argento e li' arresteranno il tempo. Ermete lo sente, Luna lo sente. Tutto avviene senza motivo apparente, senza resistenze e senza forzature. Semplicemente tutto si compie. L'equilibrio prosegue, la millenaria danza del tempo ne gioisce, lo spazio si restringe attorno a quelle due creature notturne che si confondono tra la sabbia ed i sassi del fiume, che brillano come le schiume della corrente illuminate dai riflessi del sole e danzano come le cicale che tentano con grazia di emulare le loro sorelle immobili da millenni sopra di loro, che ogni notte vengono a salutarle ed osservarle giocare. L'alba vede due corpi vicini che si tengono ancora per mano. Un passerotto si posa li' vicino, osserva, non stupisce ne' teme...semplicemente osserva. Quando i due prendono coscienza del reale, abbandonando il mondo onirico che se per l'una e' ricco e colorato per l'altro e' vuoto e nero da sempre, la luna del cielo e' solo un ricordo di ore prima, il sole accarezza i loro corpi ed il suo tepore li invita alla vita. Ne' fame, ne' sete, solo la voglia di immergersi nei rigiri piu' calmi di acqua per accertarsi inconfutabilmente di non essere loro stessi parte di un meraviglioso sogno. Ermete stringe a se' la meravigliosa creatura del fiume, la invita a tuffarsi con lui, cerca come puo' di sembrare meno goffo di cio' che in realta' e', finche' non sorride dentro e la solleva naturalmente, per poi entrare nelle acque gelide. Luna al contatto dell'acqua ride, si irrigidisce per il freddo intenso che pero' scompare in pochi attimi. Ermete per la prima volta sente di essere immerso in un vero, unico e favoloso gioco, una favola da vivere totalmente. Usciti dall'acqua, restano in silenzio sulla riva per lasciarsi asciugare dal sole che adesso e' piu' caldo e gentile. " Ho vissuto l'eterno, oggi ho sfiorato quella certezza che inseguo da secoli" Luna ascolta le parole di Ermete, non risponde. Lui prosegue: " Ho inseguito per secoli quello che ormai disperato credevo solo frutto della mia fantasia, parte segreta dei miei sogni impazziti. Ora so. L'equilibrio esiste , e' qui, tra noi. Nulla potra' mutarlo, e' parte integrante del tutto, e' centro assoluto di tutte le cose, e' Natura ed infinito. Questa notte il cielo si e' concesso un poco di riposo, lo spazio ed il tempo si sono inchinati di fronte alla legge che governa tutte le cose, questa notte i sogni dei pazzi si sono realizzati, questa notte chi aveva occhi per vedere ed orecchie per sentire ha visto ed ascoltato, gli stessi che i ciechi ed i sordi chiamano geni. Quei ciechi e quei sordi che hanno deriso Galilei, Leonardo, i folli di tutti i tempi. Quei ciechi e quei sordi che oggi costruiscono bunker nei quali lasciarsi morire, quelli che vogliono, bramano, desiderano. Quelli che oggi inseguono feroci e disperati le loro repressioni, le loro voglie inconfessabili, le loro solitudini antiche. Questa notte il perpetrarsi del miracolo della verita' ha illuminato il reale ed oscurato il sogno, ha brillato sopra le case e rischiarato le follie dei poeti." Luna, tranquilla, tace. Tutto questo accadeva quattro mesi fa. Oggi quell'angolo di fiume e' stato deturpato dalle rabbiose ali di un immane cataclisma , pochi esseri dimenticati vagolano ansimando su deserti di polvere, piangendo disperati ed invocando la fine. Non c'e' memoria certa di come e quando sia accaduto, tutto e' solo mostruosamente riposto nella memoria del presente che e' allo stesso tempo certezza e ricordo. Le tenebre hanno offuscato un sole che continuera' incessante a brillare su altri mondi, cio' che qui e' divenuto notte altrove si rinnova nella vita. Ermete sopravvive ancora. Lo si puo' trovare sorridente sulle rive del fiume, a ricordare il momento in cui tutto prese a rotolare secondo leggi immutabili, aspettando la fine. Quella fine che non teme, perche' principio di tutte le cose, certo che tutto evolve secondo mutamento, coscienza, nuovo mutamento. Ogni giorno Luna lo raggiunge sulle rive, li' restano in silenzio, e per quanto doloroso il ricordo di cio' che e' stato, nessun rimpianto va a bagnare la sabbia di quell'angolo di paradiso, che nonostante la desolazione, resiste aspettando la fine del tempo. Non e' cambiato nulla... il fiume non si e' imbruttito. Semplicemente e' diverso, ma in questo risiede la bellezza.