L'inquietudine che stringe il petto in certe sere, quando su te stesso ti raggomitoli ed il cuore miagola per un appetito sconosciuto, mi sorprende per il silenzioso incedere, subitaneo come una brezza estiva. Avverto poco a poco il vuoto immenso di un mare che si asciuga, una profonda ferita esangue che brucia , secca e screpolata.
Resto li', accovacciato, stridente feto uomo in potenza ad attendere un barlume d'alba, quasi che la posizione serva in qualche modo ad affievolire la tensione innaturale. Non e' cosi'. Cullo la percezione. Sono madre del mio dolore e figlio della pena, sono l'opposto estremo di me che dimentica la sostanza osservando l'accidente, la contraddizione dell'esistere e la bellezza del resistere. In quel breve lasso di tempo che intercorre tra una vertigine e l'altra, tra una riva e l'altra del dirupo, volteggio immerso nelle onde lunghe e calde della serena bellezza vissuta, interamente davvero compresa. Non si spiega una percezione. E' come un colore, ti raggiunge lo sguardo e ti avvolge, ti inebria di luce. E' il gioco di rimando dell'assorbire e del rigettare: il blu, il verde, il giallo...sono solo fotoni respinti per selezione, il grido che e' l'anima di ogni cosa e che ogni cosa distingue, l'essenza urlata di cio' che non viene sottratto all'armonia . Cosi' i miei sentimenti: cio' che come un oceano inquieto ribolle dentro, e talvolta manifesto quando l'onda scalfisce uno scoglio del cuore, e' cio' che non e', l'inspiegabile riflesso del mondo che in ciascuno di noi si specchia, sempre nuovo e stupefacente. Per questo soffro quando scelgo di non vivere: sto sottraendo colori al cosmo, ladro ingiusto di equilibri che anche nel mio essere trovano nutrimento, che anche nella mia infima natura di animale goloso e lussurioso trovano consapevolezza e ragione di esistere. Quell'inquietudine che m'assale, come un vetro infranto si spande sul pavimento, lascia cocci di memoria sparse un po' ovunque; la notte prima di dormire cerco sempre di rimettere ordine ma mi sfugge qualcosa, ogni volta. Ogni volta, insieme ad una pagina di chissa' quale calendario, sfugge lontano qualcosa di me che un giorno ritrovero' impolverato e pulsante come un rimorso, od un rimpianto. Ogni mattina rimescolo il mazzo delle possibilita', ed ogni mattina conto qualche carta in meno tra quelle da giocare. Un giorno ne rimarranno cosi' poche che per un semplice fattore di probabilita' avro' sempre la stessa assurda combinazione, un semplice e disarmante scegliere tra bianco e nero, alto e basso, essere o sembrare. Forse invecchiando imparero' a bluffare. Forse rilancero' chissa' quale posta sul piatto della vita per il solo gusto suicida del non passare, per poter ancora una volta, sempre l'ultima, dire che ci sono stato. L'inquietudine che certe sere mi assale non e' la paura di invecchiare... sono sempre stato vecchio quando mi sono soccorso, quando mi sono dato una pacchetta sulla spalla esortandomi a non mollare di fronte agli ostacoli, ai gradini troppo alti, alle salite impervie delle nostre montagne. Quando mi sono sorpreso seduto e sconsolato sul marciapiede dell'esistenza, la mia latenza antica mi ha sostenuto paziente in tutti quei giorni senza vento a gonfiare gli stracci del mio albero maestro, vittima scampata alla perenne bonaccia dell'inazione. Quando mi volto indietro, sorretto dai ricordi di una canzone, provo una grande riconoscenza verso la vita, una grande nostalgia per il non vissuto, una dolce serenita' per i miei entusiasmi sfrenati. Non guardo spesso davanti a me, almeno non troppo lontano. Le poche certezze che ho non attirano la mia attenzione, le cose che assaporo ogni giorno sono il mio futuro. Sono il me che cambia, cangiante come un arcobaleno ma sempre uguale all'attimo trascorso, senza fretta e senza proiezione. Mille entusiasmi, questo si', sempre. Sogni, qualcuno. L'inquietudine che certe sere mi raccoglie stremato mi e' quasi amica, perche' arriva quando insofferente al mondo vorrei fuggire lontano per essere dimenticato, e dimenticare il vuoto. E' una cara sensazione che mi ricorda, ancora come sempre, di essere vivo e libero come allora di sentire, capire, percepire.