Oggi mi sono alzato, faticosamente, aggrappandomi alle due stampelle che reggono le mie vele spiegate al vento della speranza. Lentamente, concentrandomi su sincronie di movimento antiche che pero' sembrano essere state dimenticate dalla coscienza, sono scivolato fino alla finestra della camera.
I piedi sono tesi e confusi da uno spasimo strano, uno stato di incertezza di fronte all'incognita dolorosa di ogni passo; segretamente il cuore spera di non avere cedimenti, augurandosi che l'astragalo non si frantumi sotto l'incombere di questo mio corpo. Gia'... l'astragalo. Un osso strano come il suo nome, un umile servo che sopporta tutto il peso della vita con frequenza alternata, piatto come il mare di bonaccia e delicato come il sentimento segreto che stentiamo a nominare, rovine orgogliose costruite sulle macerie del cuore. Mi sono fermato di fronte alla finestra, dicevo, saldamente sostenuto dai due alberi maestri metallici per respirare la primavera. Oggi c'e' un bel sole, con un cielo terso e lucente che sovrasta anche me, che indistamente viene a rallegrarci tutti, anche quelli distratti, anche quelli disattenti da una vita. Io lo ero, disattento... lo ero. Sempre in corsa, lo sguardo fisso in avanti a cercare mete lontane incapace di distrazione. Il cielo... cosi' lontano ora da sembrare un'idea, cosi' importante ora da non desiderare altro che stendermi sulla cima di una collina e riscoprirlo, giocando a tracciare profili sugli arzigogoli delle sue nuvole. Spalanco la finestra, ed un vento verde intenso mi sfiora vorticosamente mentre chiudo gli occhi ed inspiro per sentirmi parte del tutto, uguale al tutto annullandomi in esso. Mi annullo per ritrovarmi, mi polverizzo in questa oceanica sensazione per non esistere se non come essere, leggero ed instabile colore nel carnevale della vita che si perpetua sempre uguale dall'inizio dei tempi. E' una certezza che sento, la sento nascere nell'intimo e non riesco a decifrare: fa' parte di me, semplicemente. L'inizio dei tempi oggi coincide con il presente e si conferma nel futuro, e' una unica verita' che sto respirando nella sua freschezza, nella splendente nostalgia di una primavera fresca e giovane. L'eutanasia del pensiero sta consumando la nostra specie, incapace di aprire una finestra sull'universo per respirarne l'intensita'. Il mio panorama e' invero molto triste: abito in centro quindi non vedo altro che case antiche e automobili moderne, l'occhio stride alla vista di queste tensioni sfocate dallo smog e dal catrame della strada. Quello che conforta, che rende piacevole questo attimo e' la certezza di cio' che c'e' dietro, oltre i tetti. Posso vederlo riflesso nel turchino invisibile dell'atmosfera, in questi odori. Chiudo ancora gli occhi, prendo un lungo respiro e con una capriola mi spingo verso il fondo del mare che dentro ribolle: vengo risucchiato come da un vortice, avviluppato da immagini e ricordi che si sovrappongono nel caleidoscopio delle esperienze, battendo piu' volte il capo contro gli affilati scogli dei rimpianti e lacerandomi le carni sul ruvido specchio dei rimorsi. Sempre piu' giu', verso il centro, dritto verso l'archetipo del mondo che e' nascosto laddove il buio e' cosi' intenso da ammutolire i suoni. Mi sento come un proiettile sparato in folle corsa da un arma che ha come grilletto la memoria e tenuta in mano dalla vita. Mi succede ad ogni primavera. Mi succede ogni volta che questa aria fresca e piacevole viene a confortarmi da un inverno, ogni volta che la rondine sposa i tetti di questa citta' e posa le sue ali accanto al mio giaciglio per riposare. In caduta libera verso la morte, senza paura e ad occhi aperti dentro. In caduta libera verso la rinascita, dentro al cuore la fede cieca nella verita' e la sensazione assoluta della bellezza, di una bellezza intuita e capita nella diversita'. Da qui, chiuso in questa cameretta assolata, non vedo i fiori, gli alberi... incredibilmente ne ho coscienza, li riconosco uno ad uno. Sono l'acqua di un ruscello del disgelo, che sorvola delicatamente gli ostacoli... sono l'albero del frutteto che si stiracchia dopo il letargo, sono lo stelo d'erba degli scoscesi che si genuflette di fronte alla regalita' di questa maestosa stagione. Quanta pace. La discesa e' finita, galleggio in un limbo etereo che e' di un'altra vita, di un'altra dimensione. E' la vera dimensione dell'animo, quella che sfioriamo con le nostre sensazioni, quella che si espande fino a varcare la soglia del presente quando amiamo intensamente, quella che intuiamo nelle notti estive quando ad occhi aperti penetriamo il cielo violandone inconsciamente i misteri e le distanze, quella dimensione che non sappiamo raccontare ma in cui ci piace, seppur per un attimo, rimanere. Serenita'? Forse e' figlia di un dolore fortissimo che poi sfuma rapidamente lasciandoci stremati ma meravigliosamente abbandonati alle sensazioni , forse e' l'amica di sempre che si da' con parsimonia per non passare inosservata, tanto e' preziosa. Non sono bravo a raccontare sensazioni, vorrei essere musica per inebriare questo angolino di cielo con il suono di nostalgia di un violino od il mistero di un flauto magico di Mozart, vorrei essere poesia per colorare di colori veri l'acqua di questi ruscelli, vorrei essere altrove pur restando qui. Vorrei prendere la mano di Sabrina per trasmetterle senza parlare quello che provo dentro, sapermi tuffare negli occhi di un bambino per vedere le cose senza proiettarvi il mio egoismo adulto, vorrei essere innocenza per non avere paura. Queste quattro ossa ora stanno un poco scricchiolando sotto la coscienza di questi miei voli mentre la mente torna violentemente all'immagine di un letto d'ospedale che mi aspetta per regalarmi un'altra pagina di dolore da scrivere con affetto sul diario della vita mia. Improvvisamente, richiamato da queste certezze in tre dimensioni risalgo verso la superficie, con gli occhi che ho dentro questa volta chiusi a causa della paura inconscia del presente. Mi guardo, ancora appollaiato sulle stampelle... Sono proprio io, sempre io. Non sono musica, ne' poesia... sono quello di sempre che e' sempre un po' diverso, sono l'ambizioso senza obiettivi che disperatamente scava nei giardini dell'animo per meravigliarsi di ogni sfumatura, il disperato scribacchino che cerca ancora la penna capace di tracciare sulla carta le tracce dell'esperienza. Chiudo la finestra della cameretta, pur volgendo un'ultima occhiata a questo cielo che anche tu come me respiri, che dolcemente ci accomuna e ci fa' sentire vicini, anche ora che l'imbrunire scolora di malinconia la percezione. Mi volto lentamente, perche' le caviglie non sopportano la torsione. Camminare dopo una pausa e' doloroso, sembra quasi che un inquisitore stia cercando di disarticolarti i piedi, percio' procedo cautamente. Un passo, un altro... mi avvicino alla sedia a ruote, precipitando goffamente, fino a farla cigolare. Eccomi qui: sono tornato in modo assoluto, inderogabile, al mio presente. Tutore alla gamba sinistra, calzerotti sintetici ai polpacci, la pancia dolente dalle piu' di cento punture di anticoagulante, male di schiena... Una lacrima... Sabrina sta riposando, avvolta su se' stessa: vado in sala, accendo lo stereo, metto un disco di Springsteen, cercando "Born to run*. "It's a town full of loser's, baby, and i'm pulling out of here to win..." Sveglio Sabri, le prendo la mano. Dove sono le stampelle?