....E' vero, certo e verissimo... cio' ch'e' in alto e' come cio' che e' in basso e cio' che e' in basso e' come cio' ch'e' in alto per fare i miracoli della cosa una......
Prima bozza di uno scritto senza capo ne' coda.
Premessa.
Non e' sicuramente figlio di illusione chiunque si adoperi, con i mezzi di cui e' stato dotato dalla casualita' naturale, allo scopo di lasciare di se' una traccia, per quanto effimera, del proprio transitare in questo nostro intollerante quotidiano di solitudini prive di memoria. Il vero dramma dell'umano peregrinare, consiste nella totale incertezza di quale sia il limite lecito da porsi come obiettivo perseguibile, oltre il quale realmente potersi fermare ad ammirarne la completezza, con la serenita' interiore di essere riusciti a dare un senso pieno e compiuto a questa nostra inestinguibile sete di realizzazione. Quale fatale errore tuttavia il commisurare la propria essenza inesauribile di energia cosmica ad un universo finito e limitato di parametri transitori! E' questo malinteso il padre di tutte le frustrazioni, e' questa inconscia segregazione nei ristretti perimetri del nostro microcosmo la principale causa della consapevole tristezza del non potere! Questa e' l'ordinaria storia di un ragazzo che diventa uomo del suo tempo percorrendo quei sentieri del proprio Io che danno la coscienza del Se'; a me e' stata raccontata con la passione di chi ha realmente combattuto una guerra che altro non e' se non la nostra del quotidiano vivere, interrogarsi e sorprendersi nello scoprirsi capaci di risposta. La raccontero' per come l'ho sentita, sfiorata, immaginata.
La storia.
Ore cinque del mattino, Novembre piovoso come si conviene ad un mese votato a ricordare a tutti noi di avere almeno un morto verso il quale rivolgere, anche solo per un giorno, un pensiero.Con questo ingegnoso sistema qualcuno ha cercato di mettere il cuore in pace anche al piu' meschino degli irriconoscenti umani. Suona la sveglietta del detersivo che ogni mattina ricorda a Geremia che deve forzatamente alzarsi di buon ora per andare, suo malgrado, a lavorare. Gli fa' immediatamente eco il pacato scorrere d'acqua della grondaia che sputa in terra quello che il cielo, in una giornata che a noi sembra da dimenticare,viene gentilmente a regalare. Geremia cerca in qualche modo e come tutti i giorni di ritrovare la certezza del vivere aggrappandosi all'interruttore della luce,come a verificare in modo inconfutabile che c'e', esiste, ed esiste questa stramaledetta schiena che ormai da troppo tempo gli fa male. Gia', perche' Geremia e' vecchio. Insolitamente vecchio:come solo chi ha gia' vissuto mille anni dentro l'anima puo' sentirsi, vecchio fino al punto di non ritorno per cui nulla piu' avvince, nulla innamora e nulla fa sognare. Qualche volta i pensieri del mattino servono a fare germogliare quel senso di ottimismo che prelude ad una giornata serena: questa e' esattamente la sensazione impercettibile che l'esperienza regala alla nostra vita,quell'istante di entusiasmo che e' foriero di qualcosa che sta insolitamente per accaderci. Geremia lo sente nell'aria carica di odori della sua casa, che gli rimanda il ricordo del pasto della sera prima e di chissa' quante altre ordinarie sere precedenti simili alla trascorsa. Mette a scaldare il bricco del caffe', cerca disordinatamente e senza metodo una sigaretta in uno qualsiasi dei pacchetti di una qualsiasi tasca della giacca, trova due fiammiferi sul tavolo di cucina. Usa subito il primo per innescare quel breve insalubre piacere che gli da' l'acre foglia che arde e ripone il secondo nel gilet per assicurarsi la continuazione del rito. Travasa il caffe' dal bricco al bicchiere e, seduto, beve. Adagio. Alterna una sorsata calda ad una boccata di fumo, lascia tranquillamente fuggire dalle labbra quelle onde grigie che giocano col suo viso, sfiorandolo come una carezza, e lambiscono i capelli curati. Poi, deciso, termina il rituale:si alza di scatto, si prepara ed esce. Fuori piove. Pioggia leggera e malandrina che senza disturbare bagna fin dentro alle ossa, la stessa acqua che scava le montagne e le sgretola con la cosciente forza gentile che vince persino il tempo. Geremia si affretta verso la bici, cavalca l'animale metallico e si avvia sulla strada che porta alla fabbrica. Non usa ombrello. Solo un cappello di feltro, trovato in cantina tanti anni fa, che qualcuno gli garanti' essere di suo nonno ed un mantello di panno, ampio quanto la notte, che gli piaceva avvolgersi intorno con un largo ed onnipotente gesto del braccio, quasi a significare la vastita' del suo umano potenziale. Per le strade, le auto con i fumi bianchi della condensa mattutina tingono di favola il paese; riconosce qualcuno che assonnato sfoglia il quotidiano protetto dal cumulo di lamiere dell'utilitaria,come per sentirsi parte di un mondo che oramai corre troppo veloce per poterlo raccontare. Quello che sente intorno ha il sapore della semplicita': cosi' maledettamente ordinato ed uguale a se' stesso, il rituale della monotonia umana rende l'individuo sicuro almeno delle proprie frustrazioni, e lo realizzarsi non dissimile dal resto che lo circonda rende sopportabile la situazione, fino al limite della soddisfazione. E' il piacere antico di sentirsi parte sia del mondo della gente che dell'universo di natura che lo rende felice, e Geremia dentro sorride. Sorride nel salutare il barista del locale dove, da bambino, guardava i grandi giocare al biliardo o bestemmiare per un tre di bastoni rifiutato, che poteva costare qualcosa quanto due Campari ed uno di bianco alla coppia massacrata di turno. Gioisce guardando il giovane garzone del fornaio che sfida le raffiche lievi di acqua gelida con veloci balzi tra il furgone del pane e la bottega, noncurante e protetto solo da quella pallida maglietta che e' patrimonio della categoria. Attraversa il centro, saluta con un cenno di ricambio il cordiale buongiorno del parroco,poi sfila tra le auto: ora il suo giorno e' iniziato, ora la consapevolezza e' alle soglie della periferia, dove la tecnologia del domani conserva gelosamente qualche ricordo di cio' che e' stato e di cio' che, per una inesorabile forza ciclica del tempo, sara'. Ore 6.30. Varca la soglia dell'officina e lo schiaffo del ventilatore per l'aria calda gli toglie il respiro: lui che ama il freddo, lui che rispetta la forza del fuoco ma predilige la purezza verginale della neve deve, come tutte le mattine dei suoi autunni ed inverni, tollerare ed aspettare l'attimo in cui il corpo finisce per accettare quello che a Geremia pare intollerabile. Saluto veloce a Luigi, il Mimmo e Marco, l'ultimo assunto che ancora e' li' a stiracchiare i sogni della notte prima: "Ciao Marchetto! ,torna tra noi, daimo'! " Le prime parole della giornata. "Buongiorno Geremia.Sono disfatto, ieri sera al bar abbiamo tirato le tre a goriziana e sono andato in branda che era quasi l'alba,in piu' mi son giocato tre ore di straordinario!Ho una sonno bestiale e sono incazzato nero!". Marchetto e' un ragazzo che qualsiasi anziano, se frustrato per una giovinezza ormai finita, definirebbe "a posto". Faccia pulita, solo una lieve e disomogenea peluria bionda sul mento a testimonianza dei suoi 17 anni. Una personalita' gregaria , abituata a vivere all'ombra di ideali scelti cosi' volutamente sfumati ed indefiniti da non rischiare mai di cadere in contraddizione; tanto da poterli adattare di volta in volta alle circostanze del proprio necessitare senza correre il rischio dell'incoerenza. La figura magra e nervosa del giovane si aggira svogliata fra le macchine utensili, i cumuli di trucioli e i banchi come un poeta che cerchi l'ispirazione, frugando nella propria memoria, speranzoso di trovarvi una esperienza mai vissuta. "Caaafffeeeeee'!" tuona Mimmo: "Dai dai daiiii!...oggi offro io! ,da oggi vita nuova! festeggio il primo giorno da ex-fumatore quindi per la prima ed ultima volta posso esagerare!". Marchetto con due balzi e' gia' accanto alla macchinetta distributrice:"Sentivo che stamattina poteva capitarmi qualcosa di straordinario, ma che il piu' plumone dell'Universo buttasse al vento quattro gettoni del caffe' non me lo sarei mai aspettato...". La faccia rubiconda di Mimmo si illumina di fiera felicita': non per l'eroico gesto di aver vissuto tre ore intere senza fumo, quanto per quella sensazione di condividere la stessa dimensione temporale di Marchetto che prova quando il ragazzo scherza con lui; lui che nei suoi cinquantatre' anni e un quintale si sente lontano dalle possibilita' che la gioventu' regala:"Vala' fenomeno! oggi te ne pago due...". Mimmo e' vedovo da secoli. Forse solo da ieri ma nessuno sembra rendersene conto. E' un uomo tutto sommato simpatico, che ama i suoi due figli maschi anche se non li vede da anni e che coltiva la sua unica e grande passione di parlare di donne con una dedizione che mal cela la sofferenza della solitudine. Grande Mimmo. Cosi' semplice nella sua immensa dignita', ha scelto di vivere cio' che crede gli sia stato destinato da sempre con la fede cieca del martire; quella fede che fa' gioire della propria sofferenza, perche' in tal modo si puo' dimostrare a se' stessi quanto si sia capaci di amore. Questi sono i due compagni di Geremia. Luigi e' qualcosa a parte. E' un uomo arido, che come tutti nella vita ha sofferto ma che per questo odia tutti, quasi ne fossero responsabili. Se non riesce Lui ad odiarti, fa' in modo che sia tu a detestarlo. Non e' un uomo sbagliato: nessuno e' sbagliato. La sua visione relativa della vita e' solo troppo ristretta: non riesce a concepire un pensiero che non sia permeato di rancore verso cio' che e' per il solo fatto che e'. "Luigi, non festeggi Mimmo con noi?" chiede Marchetto,"sai fra quanti decenni ricapitera' una cosa simile?". Luigi, che volutamente si finge impegnato nel fresare un pezzo, e' costretto a sfilare la testa dalla sabbia:"Piu' tardi, grazie:ho bevuto gia' un caffe' doppio stamattina". "Che razza di rompicoglioni..." sussurra Mimmo verso Marchetto, quasi a voler rinsaldare ancora piu' a fondo la loro nuova complicita',"non so cosa darei per aprire quel distanziale per le orecchie che chiama testa e vedere checcazzo c'ha li' dentro!". Ora le frasi di Mimmo si colorano di una tinta accesa, inconsueta, maleducata come quasi mai e' stata: ora la necessita' del sembrare, figlia della solitudine, mette in luce la vera natura dell'uomo. Geremia riflette un attimo su Mimmo ed il suo rapporto con gli altri,si gira verso Luigi e lo vede sotto una nuova luce, una specie di aura di misteriosa saggezza . Quale consapevolezza spinge lo scontroso collega a dileguarsi dal banale, a portare avanti in modo cosi' dignitosamente silenzioso la sua esistenza? Forse ha scelto il silenzio per trovarvi pace, forse non odia ma soltanto evita... "Oh Marche'! : domattina porto anche pane e salame,te,porta una boccia di rosso che a mezzogiorno mangiamo qui,ok?". Marchetto guarda Mimmo con aria completamente disinteressata ed annuisce, quasi con la paura di procurargli un dispiacere rifiutando o palesando una qualsiasi scusa. Geremia prova un forte imbarazzo quando si rende conto dello sforzo immane che Mimmo fa' per uscire dal suo malinconico quotidiano, di quanto debba pesare quella maschera che si e' calato in viso per sgretolare il gelo che porta dentro e decide di uscire da questo strano strazio ricordando loro che sono li' a chiaccherare da troppo tempo, bisogna anche lavorare. Cosi', imitando il suo incamminarsi verso il proprio banco, tutti rientrano nei loro spazi, tutto si ripristina e la giornata trascorre in apparente stato di calma fino all'ora di pranzo, inframmezzata solo dal sottile ed indistinguibile pigolare della radiolina a transistor, che ormai da dieci anni trasmette lo stesso flebile ed indistinguibile suono. Ore 12.30. L'ora del pranzo vede Marco saettare verso l'uscita senza neppure lavarsi la mani:"Ci vediamo dopo,passo a prendere Claudia da scuola,mangiamo un panino al bar poi torno!". Mimmo, meticoloso come sempre ed oggi forse anche piu' del consueto, ripone il suo calibro nella custodia in plastica, appoggia il metro, la biro, la punta per tracciare, si passa la mano tra i capelli per asportare ogni possibile piccolo frammento metallico, toglie il grembiule che appende allo stesso chiodo che sostiene quella vecchia foto di ragazza bionda nuda che sorride all'impotente fotografo e si incammina verso il bagno per lavarsi le mani; ne uscira' come sempre dopo tre minuti con i pantaloni calati a mezza gamba, intento a rincalzare sotto i testicoli la canottiera, per poi montare in macchina ed andare, chissa' dove, a mangiare qualcosa. Luigi intanto spegne il compressore e le luci che la foga di Marco ha trascurato, poi si incammina verso l'antibagno dove consumera' il suo frugale pranzo sul tavolo qui sistemato allo scopo. Geremia estrae un panino con formaggio dal tascapane che porta sempre appeso al manubrio della bici, verifica la presenza del fiammifero nella tasca della giacca e sistema dietro l'orecchio la sigaretta che dopo mangiato consumera', comodamente seduto sulla panca dello spogliatoio. Adesso i due superstiti sono come sempre affiancati ed intenti, indifferenti l'uno dell'altro, per ripristinare con il cibo le energie disperse. Nessuno dei due sembra, come oramai consuetudine, volere turbare quel silenzio interrotto solo dal deglutire. "Secondo te Mimmo riuscira' veramente a smettere di fumare?" Geremia rimane stranito: e' la prima volta che Luigi rompe spontaneamente il silenzio del pranzo e non riesce a darsene ragione. Intuisce pero' che l'uomo vuole dirgli qualcosa, percio' decide di non sciupare l'occasione:"Non credo.Lui dice di aver gia' smesso tre volte, chi smette piu' di una volta dimostra di non esserci riuscito". E aspetta... Luigi porta ancora alla bocca una cucchiaiata di minestra, inghiotte, con calma sorseggia dal bicchiere un rosso piemontese, poi riprende:"Proprio non lo capisco Mimmo.In certi momenti lo prenderei a calci in culo...ogni mattina mi saluta con lo stesso sorriso idiota come a dire: ciao povero pirla,oggi come sempre dovro' sopportare la tua solita aria demente!". "Credo sorrida per cercare di esserti amico, Luigi. Possibile che tu proprio non sopporti nessuno a questo mondo?" "Oh, questo non e' vero. Ci sono anche persono che mi sono indifferenti" Si alza, apre il suo armadietto, prende un tovagliolo quindi ritorna al posto. Mangia a capo chino, si vede che sta pensando a qualcosa. Geremia aspetta, in silenzio. L'attesa, breve, viene premiata: "Vedi, non riesco proprio a sopportare la gente. Detesto tutti quelli che vivono per il solo fatto di essere nati e credono di potere cambiare tutti i giorni la loro faccia finchè non trovano la maschera giusta per questa o quella persona. Da questi mi tengo lontano. Tutti gli altri, quelli insignificanti o i rassegnati, mi sono indifferenti. Dal momento che tutti o quasi rientrano in queste categorie, preferisco non avere molti rapporti con gli "altri"". L'argomento sicuramente e' molto importante per Luigi, che ora ha posato il cucchiaio nella gavetta ed il tovagliolo su una coscia. Il suo esprimersi e' concentrato, seleziona le parole pesandole una ad una, riguardandole e rigirandole come un giocatore che sa quanto questa o quella carta, giocata, possa gravare sull'esito della partita. Geremia capisce che l'uomo di fronte a lui parla cercando di trovare nelle parole la soluzione al suo isolamento, che ormai ha dimenticato. Luigi forse ha solo risparmiato agli altri di rifiutarlo isolandosi per primo e questo dubbio ora comincia, con gli anni, ad affacciarsi troppo spesso nella sua mente. Adesso vuole solo giustificarsi. Vuole spiegare, soprattutto a se stesso, il perche' non puo' tornare da questo viaggio a senso unico e cerca forse almeno il modo di addossare la responsabilita' della sua stolta scelta a cio' che gli gravita intorno. Geremia pensa a cosa dire, vorrebbe fare un ragionamento lucido per affrontare con intelligenza il discorso...aspetta, ma nessuna idea illumina la mente. Non puo' attendere oltre:"Se vuoi parlare del tuo problema fallo pure. Ti ascoltero' volentieri." "Problema? guarda che non hai capito! Il problema e' degli altri, per me e' pari anche tre. Comunque ti ho spiegato il mio punto di vista, solo perche' non ti reputo un camaleonte, perche' credo tu non finga." Adesso l'uomo ha chiuso ogni spiraglio verso l'esterno e sprofonda nuovamente nel suo abisso; Geremia tenta ancora di tendergli la mano, confondendo il salvato con il salvatore:"...perlomeno deduco che non mi hai inserito nella lista dei detestabili". "Solo in quella degli indifferenti" Adesso il gelo e' ristabilito, ognuno riprende il proprio pasto sicuramente meditando: l'uno che al mondo son proprio tutti uguali e non vale la pena discutere, l'altro, che forse Luigi ha proprio ragione, forse siamo talmente relativi da risultare insignificanti. "Ancora a tavola!?" tuona ridendo Marchetto con l'aria di chi e' finalmente riuscito a conquistare l'amata..."saperlo prima vi portavo anche il dolce! Senti Luigi, a proposito, stasera dovrei uscire un po' prima perche' c'ho il dentista, problemi?" "Fai un po' come credi, sai che siamo indietro con tutto..." :e' la risposta distratta, insofferente, di chi ancora e' assorto in altri esistenziali pensieri. "Allora finalmente ce l'hai fatta! Diobono, sono sei mesi che le fai il filo!" "Lei proprio Geremia non riesce a pensare ai fatti suoi, vero?" dice sorridendo Marco. Nell'attimo entra Mimmo, rosso in viso e sigaretta fumante in bocca. Tutti lo guardano, tutti notano quel senso di imbarazzo negli occhi di quell'uomo eroe per una mattina e traditore per una vita. Per spezzare la strana tensione che lo ha colto, Mimmo dice la prima cosa che gli passa per la testa: "Oh, puttana Eva, ho mangiato e bevuto il caffe', tranquillo...appena sono uscito di casa ho incontrato Marione che mi ha offerto una sigaretta. Ho detto NO, grazie ho smesso!,niente da fare. Che amico sei, attento che diventi finocchio, anche le merde fumano e tu non vorrai essere da meno, dai che e' l'ultima...sapete come vanno 'ste cose!......Comunque e' l'ultima, l'ho spiegato anche a Marione, che non si azzardi mai piu'..." Luigi vorrebbe dirgli che lo sapeva gia', di non cercare scuse incolpando gli altri per quello che tanto avrebbe comunque fatto,poi stranamente sente che non puo' permettersi di dire niente. Non sa spiegarsene il perche', ma tace. Ore 18.30. L'orologio appeso al muro reca il messaggio consueto di un'altra giornata di lavoro che finisce.... Marco ha lasciato gia' da un'ora dietro le spalle la memoria di cio' che stava facendo, per inseguire il suo sogno . Mimmo se ne va con la sigaretta ben serrata ed unta tra le labbra, sicuramente stasera meditera' sul suo ennesimo fallimento. Luigi lentamente guadagna il portone. Geremia resta immerso nel suo immaginario, lima nervosamente quell'ultimo pezzo di acciaio, per toglierne gli spigoli.... Misteriose analogie. Fatica, sudore.... energie spese per arrotondare quei profili taglienti che docili si usurano sotto le sferzate dell'utensile.... Tra se' e se' pensa che se fosse cosi' facile, se solo fosse cosi' facile.... Lima instancabilmente, oltre il necessario, in preda ad una frenesia cieca e feroce, consuma quelle lame in un gesto estremo, solitario. Sfinito, getta la lima sul bancone. Guarda cio' che ha combinato, sa che domani dovra' ricostruire quell'insignificante agglomerato di materiale. Le 19.20. Ha limato e faticato per piu' di un'ora....riordina come puo',meccanicamente. Il martello, lo squadro,la scatola delle punte, il goniometro, i calibri, gli spessimetri ed i maschi per filettare....un ordine solito, predeterminato, logico. Tutto logico, come se da sempre fossero esistiti tutti quegli oggetti cosi' insignificanti nella loro semplicita' ma cosi' determinanti se utilizzati con esperienza e passione.... Poi, come sempre oramai da secoli, il solito giro intorno alle macchine utensili per controllarne lo stato, per verificare che Marco non abbia dimenticato di togliere la corrente , per lasciare insomma inalterato lo stato delle cose. Come sempre...come sempre involontario responsabile delle altrui necessita', degli altrui sogni, abitudini.... Come sempre logico, razionale, abituale, consueto....scontato. Pochi attimi ancora, ed eccolo spegnere le luci, recuperare il cappello di feltro e la mantella, avvoltolarsi all'interno di questa, sputare per terra, chiudere il portone del capannone ed inforcare la cavalcatura metallica. Fuori, il freddo. Totale, assoluto, gentile. La pioggia della mattina ha ceduto il posto ad una luna impietosa e serafica nel cielo sereno di questo Novembre insolitamente freddo come mai si era visto o sentito raccontare dai vecchi del bar, tra una grappa ed una mano infelice di tressette. Una Luna maiuscola, sognata da bambino e fedele alleata delle serate a chiedersi degli inutili perche', una discreta compagna che mille notti romantiche della gioventu' aveva illuminato, che ora sembrava, beffarda, ricordare a Geremia che e' vecchio.... Il cielo e' percorso da una velatura cerulea di stelle, una via lattea ipotetica e mai percorsa, se non sulle ali di una fantasia bambina che leggeva fumetti in bianco e nero con mitici eroi che ne solcavano i segreti. Fredde sibille del nostro incerto futuro, misteriose testimoni di equilibri immutabili. Il simbolo stesso dell'essere e del non essere, dell'apparenza. Aveva letto tempo addietro, da qualche parte, che cio' che di loro ci e' dato vedere e' lo stato del loro esistere di milioni di anni prima, la loro luce.... Cio' che vediamo oggi e' solo un riflesso, il segno del loro essere state. Apparenza, traccia sottile di trascorsi millenni.Guardandole, Geremia non sa piu' se lui stesso sia parte di quelle luci o ne sia impotente testimone e spettatore. E come sempre, tutte le sere, si ripercorre il quotidiano rituale del rientro.... Tra le poche anime che popolano l'ora di mezzo, l'ora in cui la gente consuma il pasto, si racconta, sorride. L'ora in cui il presente sembra rintanarsi negli angoli della memoria per divenire in un attimo ricordo, passato.... Mistero ed angoscia del presente, segreto rifugio del vivere, inconsistenza del reale. Geremia sa di non avere mai vissuto il presente...lo ha sempre visto sfuggire in un subitaneo balzo, cosparso di biacca che rende irriconoscibile il volto, nel pozzo infinito e confuso del trascorso. Ha visto il futuro confondersi sfumato con i colori stinti del quotidiano, in una danza instancabile e caotica. E pedala, pedala...pedalando ripercorre tutti quei giorni uguali a se' stessi, sa che tra poco salutera', appena girato l'angolo dello stradone, il solito impiegato che tutte le sere, ligio servitore delle proprie finzioni, sta ancora aspettando la corriera che lo portera' chissa' dove, in una casa forse popolata da anime allegre, forse deserta come la strada stessa. L'uomo che lotta, che lavora...servile e determinato sognatore alla continua e disperata ricerca di cio' che non avra' mai. Qualcuno un giorno sulla sua memoria raccontera' di quanto era serio, compito, efficiente. L'efficienza dell'essersi trascinato, lento, sempre uguale, talmente costante da sembrare inutile. Ancora pochi metri, ed incontrera' il garzone del fornaio...o meglio il simulacro a quattro ruote che ne testimonia la presenza all'interno della bottega, intento a preparare l'impasto del giorno dopo. Finalmente, a casa..... La bicicletta appoggiata con noncuranza al muro, pochi gradini, e di nuovo si ritrova all'interno del suo eremo reale. Li' ritrova il bricco del caffe' della mattina e tutti quei piccoli oggetti a testimonianza del fatto che e' esistito, ha bevuto, si e' lavato, vestito.... L'eterno problema di sempre....la cena. Allora si apre il frigorifero, si controlla velocemente se cio' che vi e' in esso contenuto puo' soddisfare quello che pare appetito e si calcola mentalmente il tempo necessario alla preparazione del pasto, quasi a far combinare tempi ed orari di corriere mai partite , estraendo le poche cose che disordinatamente giacciono sui ripiani del bianco mobile. Poi, una rapida occhiata al lavoro che attende. "Cazzo, quanto casino.... e i solfanini...." E cosi' si ripercorre il tragitto della mattina, si fruga mentalmente in ogni tasca, in ogni anfratto per ricordare dove.... Ricordare. Ad un tratto una sensazione, una abitudine dolorosa. Ricordare. Allora a puttane la cena, a puttane anche quel cavolo di cerini responsabili del suo cenare...a puttane tutto, disperatamente. Rigettate nel frigorifero le scorie del suo lavoro, riposte le pentole, i tegami.... gettate in un angolo le sigarette, buttata la camicia, i calzoni. Ovunque. Ovunque traccia del suo passare. Come sempre, instancabilmente...un segno negli occhi e negli sguardi di chi lo ha visto, vissuto, sfiorato, pestato. Rimpianto o rimorso, chissa'. Un Geremia mai visto e mai conosciuto e' quello che rivede nello specchio del bagno.... L'immagine di un presagio, profetizzato secoli e secoli prima da lui stesso, nella storia atavica della sua specie, la branchia di una razza impazzita discendente dai cani randagi dell'appennino della sua Bologna che lo ha visto nascere, eterna prosecuzione di un rito consueto delle razze bastarde. Latrati nella sua testa, rumore, urla, grida , suoni.... Musica. Forse. Forse solo musica, a tutto volume.... E forse voglia di silenzi...di piogge primaverili sui davanzali della casa dei nonni, quando nella sua ingenua immaturita' leggeva in essa solo la fera novella del non potere uscire...per giocare con chi, poi? E' sempre cosi'....insegui, cerchi, desideri....raggiungi la meta...vuoto. Come un naufrago sei tra le onde, ti aggrappi al pennone divelto agognando la riva. Beh....Geremia sorride pensando di approdare sempre sull'isola delle barzellette, piccola, senza neppure la palma. Forse la voglia di essere dimenticati, in uno stato di quiescenza nella quale essere finalmente innocui a tutto ed a tutti, presenti e vigili nel proprio oblio, con gli orecchi tesi ad ascoltare ogni suono, ogni lieve vagito della voce di quel bambino mai nato. E l'immagine che lo specchio gli rimanda lo terrorizza e lo rasserena nello stesso tempo. Una faccia nuova, segnata, malcurata...ma vera. La rivedra' per un attimo soltanto, lui ancora non lo sa, ma quell'attimo restera' impresso nella sua mente per il resto dei giorni che lo separano da chissa' che. Allora ,quasi in preda ad una fretta ossessiva, sbriga velocemente le faccende serali del lavarsi, dell'orinare, del riporre gli occhiali precipitandosi sul letto, per non perdere quella sonnolenza che forse per la prima volta da secoli, gli procurera' un sogno, oppure un incubo. Ore 22.40 Lo sgocciolio della grondaia, ancora ferita dalla pioggia della mattina, accompagna con un lento rallentare i minuti che dividono Geremia dall'abbandono. La mente annoiata dall'attesa corre libera, veloce. Ed e' una sensazione piacevole, perche' la cadenza giornaliera del lavorare, cosi' legata alla gestualita' ed alla lentezza di mani, ferri ed utensili, rimane un lontano vincolo che ora la sua testa puo' frantumare. E si permette fantasie infinite. Si concede un volo radente sulle montagne intraviste da bambino, quando la Natura gli rivelo' per la prima volta quanto lui fosse insignificante ma compreso nel tutto, e sa quanto, adesso , pur restando cosi' privo di valore come allora, ne sia desolatamente fuori. Plana sulle cime ambiziose dei pini e degli abeti, spaventando scoiattoli agili che si precipitano verso il rifugio.... Vola poi in cabrata tentando di raggiungere le ultime aquile , imprendibili e fiere, sicure nel loro incedere, mai titubanti, misteriose. Cerca di sfiorarle, per carpirne i segreti.... Accetta arrendevole ma appagato del tentativo il non poterle avvicinare se non per un attimo, conscio del suo infelice legame con la terra, umile nella sua realta'. Poi, oltre quell'ultima barriera di conifere sempreverdi, ed incredibilmente di quercie, palme, alberi magnifici, mai visti e forse mai esistiti....la montagna. Tale e quale ad allora....tre denti aguzzi che mordono il cielo e tentano disperatamente di strapparsi da quella prigione di enormi massi che e' ai loro piedi, per librarsi anche loro, pur con la loro maestosa e pesante essenza, insieme alle aquile in un ultimo assalto verso l'infinito. Niente neve...solo roccia dura, dolomitica. Vera, crudele, che spella le mani di chi osa sfidarla, che precipita in strapiombi senza fine chi non ne vive l'armonia.Pero' anche docile alleata di chi , nudo, tenta la scalata con rispetto, amore, equilibrio. Ed in quel mare di verde appena sorvolato , da una altitudine maggiore, ora vede il contrasto di quelle tre cime....sente la tensione procreatrice dei poli opposti, dell'infinito in continua rotazione ed evoluzione. Sente la meravigliosa forza della diversita', rifuggita, derisa, elusa.... Lo spettrale angolo lunare di marmo e basalto sembra fondersi, anche se distante, con l'oceano caldo appena increspato dal vento che spira docile tra le fronde. E' il Bagatto dei tarocchi con cui gioca al bar della bocciofila che ammicca..... E' la carta risolutrice, con il suo cappello a forma di otto che ne rappresenta la liberta', l'immane, la quintessenza. La carta cangiante che puo' anche farti vincere in situazioni disperate, il sogno. Poi, in alto. Sempre di piu'...con il sole che accieca, le nuvole oramai un ricordo lontano, le aquile laggiu', piu' sotto. Ed in quel tepore strano lasciarsi andare, ricadere, planare, giocare con le correnti e domare il vento che ora galoppa al suo fianco, che ora si diverte a sorpassarlo, ora arretra, ora si nasconde, per regalare la sensazione immensa della caduta nel nulla..... Durante una di queste cadute, sparisce il gocciolare della grondaia. Spariscono in ordine tutti i suoni:il ticchettare della sveglia,il ronzio sordo delle ultime macchine, il respiro stesso del pegaso che si era pochi attimi prima impadronito della sua veglia. Quiete. Ore 23.52 Da quanti anni dorme Geremia...da quanti inverni ed estati e minuti e sospiri ed attimi riposa? Il tempo lo ha tradito, da sempre. Sempre un attimo prima od un attimo dopo, sempre fuori, sempre diverso, matto. Quello stesso tempo in cui lui confidava, di cui ne sopportava i capricci, speranzoso, fiducioso. Quello stesso vile e traditore tempo che non gli era mai bastato quando voleva spiegare, che non passava mai quando voleva cessare di soffrire, sempre uguale a se' stesso eppure sempre cosi' relativamente diverso. Aveva da tempo gettato l'ultimo orologio, cosi', in un gesto di cordiale complicita'.... "fai pure, tanto io non ti controllo....passa quando e come vuoi..." E sorrideva compiaciuto . Ora che il tempo l'aveva tradito, si sentiva davvero tanto forte il male a quella stramaledetta schiena, la tosse secca delle troppe boccate di fumo, la fatica dei troppi anni di officina.La vecchiaia era apparsa subitanea, improvvisa, inaspettata. Attimi lunghi ore nella sofferenza, giorni svaniti nello spazio di un minuto quando si trattava della sua felicita', e poi rimpianti...o rimorsi. Sempre un tic-tac incessante e travestito, multiforme, ingannatore. Sempre pronto a mutare, come certe tempeste estive che lo sorprendevano a volte mentre risaliva il suo fiume per lanciare una stupida esca tra le schiume vivaci ed ossigenate, alla ricerca di un contatto con quegli esseri che popolavano le acque del suo fiume,liberate con affetto una volta trascinate a se'. Il sapore della riconoscenza, la sensazione di avere saputo almeno una volta vincere per donare la liberta', con gioia, compiaciuto. Ore 23.57 Giornata serena nella piazza del paese antico.... La piccola folla che si assiepa intorno alla bottega del pane ne testimonia la gioiosa realta'...schiamazzi di bambini che inseguono una gallina desolata, qualche gridolino di madri ansiose che temono i malanni dei primi soli. Dal profumo dell'aria si intuisce una primavera appena nata, che traspare anche dai colori degli abiti delle ragazze, ampie gonne sulle quali spiccano motivi gentili e vistosi, e danzano agili ad ogni maliziosa giravolta. I ragazzi camminano lungo i bordi della piazza, sgomitandosi al passaggio ora di questa, ora di quella.... si spintonano e ridono della risata piu' fragorosa possibile,nel tentativo di dimostrare in maniera inconfutabile la loro esistenza. Qualcuno calcia un ciottolo, altri fanno scoppiare palloncini di gomma da masticare...qualsiasi cosa pur di potersi sentire rumorosi nel silenzio della puberta'. La campana del vecchio e sbilenco campanile gracchia un din-don monotono e stonato, quanto basta per vedere le donne piu' anziane uscire dalle case, imbellettate di vezzi assurdi, per perpetrare la fiducia spenta in un Dio troppo distratto per ricordarsi di quel pezzetto di cielo. Geremia si risveglia dal suo dormire, gli occhi roteano nella stanzetta illuminata in modo inusuale , al punto di non sentire neppure il bisogno di aggrapparsi all'interruttore. Si alza tranquillo, senza fatica, riposato. La schiena non si incazza neppure quando tenta di raggiungere la ciabatta che si e' ritirata sotto al letto, semplicemente si flette, tollerante. Si veste di abiti non suoi ma senza chiedersene la provenienza,posa nella tasca due cerini che non aveva rintracciato la sera prima ed esce, dimenticando le sigarette. L'insolito paesaggio non lo turba neppure. Si rende conto di conoscere ogni angolo,ogni vicolo.... Ne e' parte, tutto qui. Magnifico. Il paesaggio che si erge oltre l'ultima casa inerpicata sulle pendenze di colline sfumate di vapori della terra, e' quello che aveva sorvolato la notte prima...quei tre amici che lo salutano compiaciuti. L'animo si apre, sereno....correre all'impazzata per le via, urtando i ragazzi, sollevando appena con la folata del suo incedere le gonne delle giovinette, facendo inorridire le signore benpensanti che indignate lo osservano commentando sulla sua eta'. Rubare una mela da un bancone di frutta misteriosamente e provvidenzialmente apparso sul suo percorso senza chiedersene neppure il perche' e scappare, a gambe levate, con tanto fiato in gola da far quasi paura, rapido, finalmente veloce. Meravigliarsi del proprio respirare senza incertezze. Calciare un pallone sfuggito dal rincorrersi e calciarsi di un gruppetto di ragazzini, calciarlo cosi' lontano da scomparire oltre le montagne, poterlo credere conficcato nella luna. Inverosimile, insolito....eppure bello, da vivere, da respirare, anche solo da guardare. Attraversare il fiume senza scivolare, sfruttando i ciottoli piu' grossi, in equilibrio su una gamba sola, pencolando a gambe divaricate intenti a studiare l'efficacia del prossimo balzo. Resistere al freddo intenso che l'ultimo incauto movimento regala al contatto con l'acqua, cosi' pulita e maestosa nel suo modesto incedere verso il mare...cosi' serafica, sicura, delicata. Rialzarsi magicamente asciutti, proseguire nella folle corsa, e sempre respirare,respirare, respirare.... Salire l'abete piu' alto, penzolare dai rami, roteare, ridiscendere, salire.... Pulire le mani impastricciate di resina sui pantaloni della festa....per un attimo, riuscire a pensare a cosa dira' sua madre.... Solo un attimo di nostalgia, di ricordo...poi, irresponsabile, scapestrato, ridiscendere come un gatto fino alla radice, scendere sotto le zolle, dove abitano gli gnomi, i loro buffi berretti.... Pazzia...magia...forse finalmente la realta' nella sua forma piu' agognata, meno dolorosa, piu' libera. Volere bene, volersi bene, sorridere...e respirare, respirare, respirare.... Una folle corsa verso quelle cime ruvide, per poterle finalmente vedere da vicino, toccarle... Abbracciarle tutte in un impossibile gesto che prende forma, braccia enormi che avvolgono tutto cio' che e' Natura intorno a Lui.... Senza rendersene conto, e' gia' alle pendici: in piedi, insignificante esserino incredibilmente permeato dell'essenza delle cose, le guarda troneggiare sulla vallata, con il loro sguardo fisso da millenni.... Noncuranti e vincitrici sul tempo traditore, stabili, serene. Improvvisamente si sente centro e vorticosamente tutto gira con lui ed intorno a lui.... E' compasso e cerchio, cosmo ed astrolabio... e' essenza di equilibrio,baricentro di equilibri ancestrali che roteano con velocita' immani ma che restano nitidi e distinguibili in uno stato di lucida follia. Il centro, la pietra angolare, l'essenza...l'equilibrio. L'essere...il suo essere, di cui ora e' sorgente e fiume e foce nello stesso tempo e con tutte le cose. Un breve rendersi conto dell'attimo, ed eccolo tentare la disperata scalata alla rupe piu' alta. Il piede lascia l'ultimo grande masso , stupido ed impotente carceriere dei suoi giganti, che verso il cielo volano gia', insieme alle aquile. E respirare, respirare, respirare.... La coscienza e' sveglia, presente...sa e sente che presto sara' con le aquile, al loro fianco...senza simulacri della sua vecchiaia, senza ancore a tenerlo arpionato al suolo, senza ansimi di un respiro rotto e soffocato. Ogni attimo e' un piccolo incedere inarrestabile verso il traguardo.... Non importa piu' quanto tempo passera', non importa piu' se una ferita alla mano brucera' per secoli e se la visione dolce di uno stambecco restera' presente per un solo secondo...oramai il tempo ha voluto rifare pace, si sono stretti la mano e salgono insieme, affiancati.... Si sostengono l'un l'altro, suggerendosi vicendevolmente dove posare il pie' fermo, dove aggrapparsi per non scivolare. Ne' tempesta, ne' vento potra' arrestarli. Il vento ora e' gentile, asciuga la fronte imperlata, la tempesta disseta. Anche le nuvole grosse e scure che si innalzano dove l'occhio si perde non incutono timore. Geremia sa cosa celano. Sa di non temerle, perche' le conosce da millenni....sa che dietro l'aspetto feroce, impenetrabile, duro, recano l'acqua che disseta i campi, che gonfia le rogge, che lava le ferite e nutre le creature di quell'angolo incantato. Intanto la cima si avvicina , e Geremia respira sempre piu' libero, sempre piu' i polmoni si irrorano e si rigenerano. La parete e' ora verticale, la fatica non e' aumentata...la vista della cima ripristina le forze e dona nuovo vigore al bambino invecchiato che si inerpica sulla roccia con gli elementi al proprio fianco.... L'ultimo sperone che si staglia contro il lembo turchino del cielo ancora non nascosto dalle nubi, l'ultimo breve ed indolore sforzo, ed ecco la cima. Appuntita, sottile, da starci su una gamba sola tanto e' piccola e minuta.Tanto fragile da essere paradosso, paragonata alla possenza della base. Legge dei corpi sottili...meravigliosa realta' della parte leggera delle cose...tanto piu' ci si innalza, tanto piu' le scorie, i macigni, le paure e le ansie rotolano verso il fondo,pesanti. E su quello spillo Geremia resta per ore, a roteare le braccia e girare su se' stesso e cantare ed urlare e ridere. E respirare,respirare,respirare.... L'immensita' si spalanca ai suoi occhi, premurosa. Le flebili foschie della lontananza rendono infinito anche cio' che ha limite e definizione , tutto e' senza misura, senza confine. Vede i mari di lassu'...vede le citta', anche la sua...riconosce i volti di tutte le persone, legge nei loro cuori. Capisce la voce del vento, ascolta il sussurrare delle nuvole, la sua pelle si inebria dei riflessi argentei della luna e dei raggi dorati del sole, posti l'uno in antitesi all'altra ma cosi' vicini, sinceri, amici. Gode della sua solitudine perche' allietata dalla folla festosa della Natura, dei boschi, dei campi coltivati a grano lontano, laggiu', oltre l'occidente. E' in compagnia dell'aquila, che lo osserva stranita ma sorridente, la vede perdersi un attimo nello scintillio del sole per riapparire dopo pochi attimi un palmo piu' in la', in una danza libera che rende il suo camminare con i piedi ancorati al suolo, solo un lontano ed improbabile ricordo. Le ali protese, il fulgore del manto nero e bianco, l'oro del rostro severo. La Volonta' del volo. Poi, di colpo, come e' apparsa, scompare. Geremia resta ancora a riempire gli occhi increduli di quel paesaggio irreale, superiore. Guarda il tempo, seduto a braccia conserte accanto a lui. Lo sorprende buffamente paziente, forse un po' annoiato, ma comprensivo. Taciturno, questo si', ma tutto sommato consenziente. Uno sguardo tra i due, ed il vecchissimo barbuto con il volto di bimbo e la clessidra alla cintola fa' un cenno lento col capo, Geremia ammicca e si riprende la discesa. Fermarsi ogni tanto a riguardare la vetta, il tramonto del sole, meraviglioso segnale del sorgere della luna, l'eterno rinnovarsi di vita e di morte, di amore ed odio, di tutte quelle tensioni che generano l'universo ed in esso incessantemente si ripetono. E continuare la discesa, rallentandone i ritmi per proseguirne il ricordo, per imprimere nella memoria il sapore dell'acqua piovana, l'odore del vento, il colore del cielo. E respirare, respirare...in ogni attimo, incessantemente. Arrivati alle sorgenti della grande montagna, dove i primi macigni hanno terminato il loro rovinare al suolo, Geremia accarezza la fredda e dura e materna pietra per sentirne la presenza in ogni suo essere, guarda la vetta, oramai impressa soltanto nel ricordo, perche' l'occhio da laggiu' non puo' catturarla. Lui l'ha veduta, vissuta, ne e' stato parte. Altri neppure oseranno immaginarla.Tant'e'. Questo gli basta. E' sera, la luna si staglia alta nel cielo, il villaggio riposa. I ragazzi sogneranno le fanciulle dalle gonne fiorite, i bambini si rifugeranno sotto le lenzuola, barricate inviolabili per i fantasmi della notte... resteranno ad occhi sbarrati al suono dei passi di quei due amici che stanno rientrando stanchi e felici....Resteranno cosi' fino a quando una madre non li rasserenera' accarezzandoli e ricomponendo la frangetta spettinata , spiegandogli che ora c'e' il loro angelo custode, che nulla puo' capitare. Solo allora anche quelle due propaggini della notte che incedono verso quella casetta con la porta spalancata da sempre riprenderanno la loro giusta importanza. In quel momento Geremia varchera' la soglia della sua casa nel piu' completo anonimato, insignificante essere che ora fa veramente parte del tutto. Si siede, conversa con quel vecchio instancabile e pedante che scandisce da sempre i tempi delle nostre vite, ringrazia per questo ultimo viaggio, sorride ripensando a quanta strada percorsa in attimi cosi' brevi, fruga nel presente appena trascorso fotografie indelebili nella memoria, si alza, si accommiata dal vecchio, e si corica nel letto. Ore 18.00 del giorno dopo. La guardia medica stende il lenzuolo bianco sul capo immobile di un corpo irrigidito. Un sorriso pacato scompare come uno scoglio al frantumarsi dell'onda dietro quel drappo. " Circa otto ore, scriva...." Il medico detta ad un imbranato infermiere quello che sara' uno straccio di inutile burocrazia, che raccogliera' la polvere di qualche scaffale di un qualche palazzo di quella citta'. Un vecchio barbuto, di tanto in tanto, passa tra quei corridoi, posa la clessidra che tiene alla cintola e toglie le macchie di polvere dalla pagina ingiallita, per ricordare le tappe di un viaggio che ha finalmente ricongiunto il vecchio ad un amico.